Page 12 - Insegnare la grammatica
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gua di prestigio e di cultura, e quindi chiedevano al pedagogus greco di applicare una for-
          ma di CLIL ante litteram, insegnando in greco la filosofia, le scienze, e soprattutto Omero,
          punto di riferimento dell’animo ‘nobile’, e assumevano anche un grammaticus, incaricato
          del perfezionamento formale, che però aveva un ruolo subalterno: l’uso del pedagogo
          prevaleva sull’analisi del grammatico.
          La focalizzazione sull’uso, senza grammatica, da parte di viaggiatori, commercianti, avven-
          turieri militari dura fino a tutto il Medioevo e si applica al latino come lingua franca: non
          viene insegnato sistematicamente ma viene acquisito attraverso l’uso, senza supporto di
          analisi, a differenza del latino degli umanisti, dove la ‘grammatica’ che garantisce perfezio-
          ne formale è essenziale non solo per la riuscita stilistica ma per la stessa credibilità dell’au-
          tore. Gli umanisti sono pochissimi ma scrivono e quindi abbiamo le loro testimonianze,
          mentre gli utenti del latino lingua franca sono milioni, ma senza eredità scritta...
          Nel Quattro-Cinquecento il latino lingua seconda, quindi lingua viva nel contesto degli
          intellettuali, scompare: come osserva Martin Lutero, il basso clero ormai non sa più il
          latino e usa i volgari, le lingue del volgo, ma l’intelligentzia continua a usare come lingua
          della globalizzazione scientifica e filosofica un latino cristallizzato nelle forme e negli stile-
          mi classici, il cui insegnamento privilegia fortemente l’analisi. Ma in quegli anni di boom
          economico hanno bisogno di conoscere le lingue anche classi socio-economiche che non
          mirano all’otium culturale o religioso ma al negotium, le attività che negano l’ozio dei
          nobili e dei chierici: mercanti, soldati di ventura, personale impiegato nella navigazione
          e nei porti, imprenditori, banchieri. L’insegnamento delle lingue si differenzia dunque a
          seconda delle classi sociali:
          a.  da un lato nasce una classe di insegnanti di ‘lingue moderne’ composta per la maggior
            parte da praticoni senza altra competenza che non sia quella del bilinguismo associata
            a una spontanea attenzione didattica, interessati solo all’uso e all’efficacia pragmatica
            e totalmente disinteressati, per non dire alieni, all’idea di grammatica;
          b.  dall’altro, intellettuali come Claudius Holyband o come John Florio che ‘nobilitano’ il
            loro lavoro di insegnanti di lingue ‘volgari’, seguendo lo stesso approccio glottodidat-
            tico dei colleghi che insegnano latino: nasce così l’approccio grammatico-traduttivo.
          In questo panorama, per il momento, ha poco impatto la prima grande opera di linguistica
          educativa della storia, Ianua linguarum reserata aurea (1631) di Comenio, secondo cui
          omnis lingua usus potius discatur quam praeceptis, ogni lingua deve essere appresa trami-
          te l’uso piuttosto che con le regole. E il panorama non cambia fino alla metà dell’Ottocen-
          to, se non per il fatto che la grammatica (intesa come orto-calligrafia, morfologia, sintassi)
          viene concepita non solo come strumento di analisi della lingua, ma anche (soprattutto?)
          come strumento per ‘forgiare il carattere’, per instillare l’idea che il mancato rispetto delle
          regole sia aberrante. In Italia i licei degli Scolopi, dei Barnabiti e dei Gesuiti formano la
          classe dirigente del Risorgimento procedendo su questa linea, e anche i licei della riforma
          Gentile proseguono nell’alveo grammatico-traduttivo (un approfondimento sul tema può
          essere trovato nella nostra Storia dell’educazione linguistica in Italia del 2009).







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